Il post di Marco Vitiello, pubblicato sul blog di Psicologia del lavoro e delle Organizzazioni dell’ Ordine degli Psicologi del Lazio, sull’importanza del linguaggio non verbale nelle interazioni umane.

La comunicazione non verbale caratterizza la maggior parte dell’interazione umana in tutti i contesti di vita, anche quelli di lavoro.

La comunicazione non verbale caratterizza la maggior parte dell’interazione umana. All’interno delle relazioni, strano a dirsi, le parole contano davvero poco rispetto a quanto esprimiamo con i gesti, la postura, l’intensità dello sguardo o il tono della voce.

È il linguaggio non verbale, responsabile di almeno il 90% della comunicazione tra le persone, in tutti i contesti di vita: famiglia, scuola, amicizie, tempo libero e lavoro. Proprio su quest’ultimo contesto vogliamo soffermarci per provare a capire quanto sia cruciale e delicato il significato che attribuiamo all’universo comunicativo del non verbale, spesso senza rendercene conto, generando il più delle volte reazioni a catena incontrollate, che sul lavoro diventano poi fonte di stress e frustrazioni, quindi di impatto sulla nostra salute psicofisica.

Quando entriamo in contatto con una persona, infatti, cerchiamo immediatamente di capire non solo quello che ci dice, ma quello che intende davvero dire, dove vuole andare a parare. È una forma di tutela con la quale cerchiamo informazioni complementari rispetto a quelle che assumiamo ascoltando le parole. Tutti siamo più o meno dotati della capacità di cogliere questi meta-messaggi. Ecco che un richiamo del capo può assumere il significato della “solita rottura di scatole” o diventa evidenza del fatto che “sta puntando su di me” o, viceversa, “ce l’ha con me”. Questo dipende, appunto, da come il mio interlocutore (che può essere anche il mio collega) mi comunica una certa informazione, dal mezzo che sceglie per farlo (una mail, piuttosto che un faccia a faccia o una telefonata), dal tono della voce e dalla gestualità con cui accompagnerà il contenuto che mi sta trasmettendo, in sostanza, dal non verbale. Certo è che tutto poi viene filtrato dai miei codici interpretativi, codici tra l’altro validi in una cultura organizzativa, ma non necessariamente in un’altra. Proviamo per un attimo a pensare di dover cambiare azienda o addirittura lavoro (cosa attualmente frequente) e immaginiamo quanti significati vadano rivisti alla luce dei nuovi usi, abitudini, in poche parole, della cultura di riferimento del nuovo contesto lavorativo. Le parole, come al solito, sono quelle più soggette a fraintendimento, in quanto lessico di potenziali differenti significati a seconda del contesto in cui sono inserite.

Più difficile risulta controllare il linguaggio del nostro corpo. Certo, esistono gli imperturbabili, persone che hanno imparato a tenere sotto controllo perfettamente i loro gesti e che si esercitano a farlo, come spesso accade nel mondo del lavoro per selezionatori, valutatori e assessor. È più facile, infatti, controllare il nostro corpo se riusciamo a focalizzarci su uno scopo ben specifico (dissimulare), ma più in generale, è difficile mettere a tacere il linguaggio del corpo. Ecco che molti giovani in cerca di lavoro riferiscono immediatamente con il tono della voce, con gli intercalari, con la postura, quanto si sentono sicuri o meno della loro candidatura.

Occorre però essere consapevoli, nell’interpretare i messaggi non verbali, che noi tutti siamo influenzati dalle nostre convinzioni, dalle paure o dai pregiudizi. In sostanza, se sono convinto che il mio capo è una persona “cattiva”, è molto probabile che interpreti ogni suo gesto come una forma di aggressione, anche se non lo è. Lo sforzo che dobbiamo fare è quello di non interpretare troppo oltre le intenzioni e cercare invece di trovare interpretazioni costruttive che ci aiutano a scardinare certi pregiudizi e a viverci al meglio le relazioni lavorative.

Altro presupposto fondamentale è che esiste comunicazione solo se c’è complementarietà (se sto parlando con te è perché mi interessa parlare con te) e se l’interlocutore restituisce un messaggio di ritorno, ovvero un feedback (ho/non ho capito, sono/non sono d’accordo…). Se non diamo o cogliamo il feedback la comunicazione rimane sospesa. Negli scambi lavorativi, che sia uno sguardo o una pacca sulla spalla, è essenziale, ai fini della comprensione degli scopi ultimi del nostro agire lavorativo, dare un riscontro e interpretarlo correttamente. Per farlo è sempre bene sapersi mettere nei panni dell’altro.

Tra spontaneità e artificiosità, infine, possiamo dire che il giusto sta nel mezzo. Quello che è davvero importante è capire i bisogni dell’interlocutore che ho di fronte (che sia un collega, un capo o un referente esterno al mio lavoro ordinario) e cosa devo raggiungere in quella interlocuzione (i miei obiettivi). La vera regolazione sociale dei nostri comportamenti sul lavoro sono, per l’appunto, gli altri.

Riferimenti

“Pragmatica della comunicazione umana” di Paul Watzlawick, J. H. Beavin, D. D. Jackson – Astrolabio Ubaldini – 1978