Dopo decenni di studi l’OMS ha riconosciuto lo stress da lavoro o da disoccupazione (burn out) come sindrome e ha fornito le linee guida per la diagnosi. Il burnout (ne aveva parlato Marco Vitiello in un’intervista) è un lento processo di “logoramento” o “decadenza” psicofisica dovuto alla mancanza di energie e di capacità per sostenere e scaricare lo stress accumulato nel contesto lavorativo. Il termine burnout, in inglese, significa proprio “bruciarsi”.
Il primo ad occuparsi di burnout è stato lo psicologo Herbert Freudenberger in uno studio del 1974. Da lì si è parlato di burnout soprattutto per le “professioni di aiuto” in ambito socio-psico-sanitario: medici, infermieri, caregiver, psicologi e tutte quelle persone che si occupano di assistenza o che sono a contatto quotidianamente con la sofferenza.
La definizione dell’OMS burnout parla di “una sindrome concettualizzata come conseguenza di stress cronico sul posto di lavoro non gestito con successo”. Tre le caratteristiche principali: “mancanza energia o spossamento, aumento dell’isolamento dal lavoro o sensazioni di negatività e cinismo legati al lavoro, diminuzione dell’efficacia professionale”.
Per la prima volta, quindi, il burn out viene incluso nell’elenco ICD-11 (International Classification of Diseases) che entrerà in vigore dal 2022 e fa riferimento specificamente ai fenomeni nel contesto occupazionale e non dovrebbe essere applicato per descrivere esperienze in altri ambiti della vita.
L’Oms, infatti, oltre a delimitare l’ambito al contesto lavorativo ha anche specificato che il burn out può essere diagnosticato solo dopo aver escluso altri disturbi come il disturbo dell’adattamento, l’ansia o la depressione che possono avere dei sintomi simili.