Ognuno di noi, sul posto di lavoro, porta quelle che Paul MacLean definiva come le 3 parti del nostro cervello: una corporea, una emotiva e una razionale. A volte pensiamo di poter rimanere sul piano razionale, ignorandone gli altri 2, e di poter chiedere ai nostri collaboratori di fare lo stesso. Eppure sono proprio le emozioni e il corpo che definiscono le azioni quotidiane. Se questo avviene in maniera inconsapevole, rischiamo di rovinare i rapporti con i colleghi o di agire fuori dalla consapevolezza. “La via maestra è nel dono della parola” dice Pino De Sario, psicologo sociale e docente universitario.
Quindi, la prima cosa da fare è prendere atto che i comportamenti sono pieni di sensi difensivi, autoprotettivi, ripetitivi, suscettibili, contagiosi e negativi. Si può iniziare ad alleggerire tutto questo con due primi passi:
Come ben sappiamo, l’uomo è un animale sociale e nella condivisione di pensieri e idee costruisce relazioni, definendo continuamente sé stesso e il proprio ruolo in relazione a quello degli altri attorno a lui. Questo aspetto relazionale della comunicazione è ben evidente nell’ambito organizzativo, in cui i pronomi utilizzati, le forme verbali e la stessa costruzione delle frasi cambia in base alla relazione che intercorre tra chi parla. E così, se si parla ad un collega il tono diventa informale, a volte amichevole, se invece ci si rivolge ad un collaboratore, il tono diventa più autoritario e deciso.
Quindi, è sempre utile per un leader ricordare ed essere consapevole che il modo in cui comunica trasmette quello che pensa dell’altro e del suo ruolo in relazione all’interlocutore. Solo con questa consapevolezza costante può continuamente calibrare la sua comunicazione e il messaggio relazionale che ha bisogno di trasmettere.
Per questo, quando il gruppo di lavoro risulta stressato o verso il burnout, può essere utile attivare delle misure “energizzanti”, andando oltre alla mera produttività. Ad esempio, potrebbe essere utile pensare ad una riunione di ascolto, diversa da quella produttiva, durante la quale abbassare le gerarchie e nominare un facilitatore non direttivo che stimoli la condivisione e l’ascolto.
Nei gruppi di lavoro una buona cultura organizzativa prevede la doppia centratura su produzione e partecipazione come due focus necessari e complementari. Ecco alcuni punti fondamentali per le riunioni di ascolto:
All’inizio può sembrare un processo macchinoso e come ogni novità ha bisogno di tempo per essere “cucita addosso” alle reali esigenze dell’organizzazione. Eppure sappiamo bene che è essenziale trovare un tempo utile da dedicare al benessere delle persone che lavorano con e per noi. Il loro benessere incide sul futuro di tutti.
Dedicare loro uno spazio e un tempo programmato utile alla condivisione, aldilà del giudizi e dei ruoli, oltre la produttività, permette ai lavoratori di sentirsi visti e ascoltati; di riappropriarsi della propria umanità; di sentirsi parte di un gruppo che condivide stati d’animo, difficoltà e forze; di rompere il silenzio e l’isolamento; di elaborare ciò che succede in un’ottica di consapevolezza, confronto e costruzione, aumentando la fiducia della propria organizzazione.
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