Cos’è il mobbing e come si riconosce?
Marco Vitiello, Docente di Psicologia del Lavoro alla Sapienza di Roma, ne ha parlato a Uno Mattina Estate.

Mobbing è un termine inglese che deriva dal verbo to mob (aggredire, assalire). In un’accezione di gruppo, fa riferimento proprio all’affollarsi attorno a una persona. Infatti, spesso, il fenomeno fa riferimento a un’azione di più persone (mobber) che agiscono nei confronti del mobbizzato: comportamenti vessatori, che inducono la persona a isolarsi, a essere screditata. L’intento in molti casi è di far andare via la persona da quel posto di lavoro.

Ci sono danni alla salute?
I danni, così come vengono inquadrati dalla Psichiatria clinica, sono riferiti ai disturbi dell’adattamento. Quindi si ha un malfunzionamento del comportamento lavorativo, spesso abbinato a uno stress postraumatico. La persona finisce in Stati depressivi, maniacali e in alcuni casi si arriva al suicidio.

Per che si fa fatica a denunciare?
Su circa ventuno milioni di lavoratori, i casi emergenti sono circa un milione e mezzo. Sono cinque milioni le persone attorno (amici, familiari) che hanno saputo o sanno qualcosa. Quindi c’è una bassa risonanza del fenomeno. Poi, culturalmente c’è un dato, in Italia nei contesti di lavoro si vive una tensione fisiologica, come se fosse normale essere in continua competizione con una necessità di primeggiare, in maniera indifferenziata. Quando questo atteggiamento si trasforma come vessatorio nei confronti di una persona, si comincia e innescare il processo di mobbing.
Capire il confine tra tensione generale a livello di clima organizzativo e mobbing vero e proprio è ancora difficile. Si vive uno strano equilibrio in cui le persone hanno ancora un grosso bagaglio di risorse, grazie alla possibilità di non essere sempre vessati, ma ogni tanto vessare.